Il bloating o gonfiore addominale è uno dei sintomi gastrointestinali più comuni in tutte le età e riguarda dal 10 al 30% della popolazione generale. Si tratta della sgradevole sensazione di tensione addominale data dalla percezione di gas intrappolato, aumento di “pressione” addominale e pienezza che talvolta, ma non sempre, si accompagna a una distensione effettiva, ossia a un incremento misurabile della circonferenza addominale. Spesso non vi è neppure proporzionalità tra entità della distensione e percezione del gonfiore.
Indice degli argomenti trattati in questo articolo:
In ambulatorio, i pazienti riportano spesso frasi come:
Più di frequente, sono le donne a soffrirne, in quanto è un sintomo correlato a variazioni ormonali durante il ciclo mestruale e la menopausa che modificano la motilità intestinale e la sensibilità viscerale.
Scopri di più su come la nutrizione può influenzare gli stati fisiologici come questi, e come un piano alimentare personalizzato può alleviare i sintomi.
L’aumentata sensazione di “tensione” a livello addominale può dipendere da diversi fenomeni che possono presentarsi in modo isolato o sovrapporsi. Distinguiamo:
In condizioni fisiologiche, il volume di gas intestinale è basso, circa 100-200 ml. Il gas può entrare dall’esterno tramite la deglutizione, può essere prodotto all’interno del corpo tramite reazioni biochimiche intestinali e il metabolismo batterico, oppure diffondersi dal sangue. In parte viene espulso tramite escrezione respiratoria ed evacuazione dall’ano, mentre un’altra parte viene riassorbita dalla parete intestinale e dal sangue, o consumato dai batteri per il loro metabolismo. Una buona parte del gas intestinale viene prodotto dal microbiota intestinale.
Una quantità fisiologica di gas, prevalentemente idrogeno, anidride carbonica e metano, è essenziale per la peristalsi.
La popolazione di microorganismi che popola l’intestino è caratterizzata da un delicato equilibrio, in cui le varie specie batteriche coesistono in uno stato di eubiosi (equilibrio), svolgendo ciascuna il proprio ruolo per la comunità, a vantaggio dell’ospite.
Mediamente, un soggetto sano, normopeso e senza evidenti patologie, ha un microbiota fecale colonico costituito dal 90-95% di due soli phyla batterici: Firmicutes e Bacteroidetes, mentre solo il 5% appartiene ad altri phyla batterici. In condizioni di eubiosi, i Firmicutes rappresentano circa il 50% del microbiota e coesistono in un rapporto circa 1:1 con i Bacteroidetes.
I Firmicutes digeriscono per lo più i carboidrati e includono batteri “butirrato-produttori” come Faecalibacterium prausnitzii, Roseburia, Agathobacter, Dorea e Coprococcus, che fermentano la fibra alimentare ad acido butirrico. Questo acido grasso a corta catena (SCFA) ha un’importante azione immunomodulante e antitumorale, è nutrimento e protezione per gli enterociti, ed è essenziale per mantenere una buona permeabilità intestinale.
<h3>Il Cibo del Microbiota e la Produzione di Gas</h3>
I carboidrati e la fibra vegetale alimentare, e in misura minore le proteine, rappresentano il cibo del microbiota e il substrato principale della fermentazione batterica, che produce gas come anidride carbonica, idrogeno e metano. Nonostante il microbiota intestinale sia relativamente stabile, con variazioni nel corso della vita, è un ecosistema molto esposto agli agenti esterni che possono rompere il suo equilibrio.
Molti fattori influenzano il microbiota, tra cui:
La proliferazione di alcune specie batteriche fortemente fermentatrici rispetto ad altre può favorire disbiosi fermentative e la produzione di gas in eccesso, causando addominalgia.
Un microbiota sano ed eubiotico svolge un’intensa attività metabolica. La sua fonte di nutrimento preferita è la fibra alimentare, che viene fermentata in acidi grassi a corta catena, tra cui il butirrato, che è fondamentale per gli enterociti e contribuisce alla produzione di gas.
La malattia celiaca è una malattia immuno-mediata sistemica, caratterizzata da uno specifico profilo sierologico e istologico, indotta dalle prolamine del grano e di altri cereali che risultano tossici in soggetti geneticamente suscettibili. La gliadina, proteina del glutine, è costituita da diverse sequenze che possono avviare una serie di processi a livello dei villi intestinali. Questi processi possono:
La sensibilità al glutine non celiaca (NCGS) è una patologia né autoimmune né allergica, caratterizzata da sintomi intestinali e/o extra-intestinali che si manifestano dopo l’ingestione di glutine o grano. La diagnosi viene fatta per esclusione della malattia celiaca e dell’allergia al grano. È stata riconosciuta come patologia solo nel 2011, durante il Simposio Internazionale sul morbo celiaco.
L’eziologia del NCGS sembra essere più complessa e coinvolge non solo la gliadina, ma anche altre frazioni proteiche del grano, come gli inibitori dell’amilasi/tripsina (ATI), in grado di stimolare una risposta immunitaria di tipo innato. Inoltre, è possibile che alcuni sintomi gastrointestinali collegati all’assunzione di glutine siano correlati a frazioni glucidiche, i cosiddetti FODMAPs (Fermentable Oligo-Di-Monosaccharides and Polyols) presenti nella farina di frumento e in altri alimenti vegetali.
Sia nella celiachia che nella gluten sensitivity, si assiste a un aumento della permeabilità intestinale, con attivazione dei processi infiammatori mediati da interleuchine e TNF-α, coinvolgendo il microbiota intestinale, che risulta tipicamente disbiotico.
Nei soggetti con disordini legati al glutine, si riscontra una riduzione dello strato di muco intestinale, che compromette l’effetto barriera e favorisce un impoverimento delle specie eubiotiche, con un aumento dei batteri potenzialmente patogeni.
Scopri di più su come il microbiota intestinale influisce in condizioni come queste leggendo l’articolo dedicato.
In queste patologie, il microbiota si caratterizza per:
La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è un disturbo gastrointestinale funzionale. L’aggettivo “funzionale” fa riferimento alla mancanza di alterazioni anatomiche degli organi, identificabili tramite ecografia, TAC, colonscopia o gastroscopia. Generalmente, la diagnosi di IBS viene effettuata per esclusione, utilizzando i Criteri diagnostici Roma III per i disordini gastrointestinali funzionali.
La IBS colpisce circa l’11% della popolazione mondiale ed è probabilmente la prima causa di riferimento per i gastroenterologi, nonché il disturbo più comune riscontrato dagli psichiatri. In 1 paziente su 2, sono presenti sintomi che giustificano una diagnosi di impatto psicologico o psichiatrico.
La sindrome si presenta con problematiche di addominalgia associate a disfunzioni nelle abitudini di evacuazione. Secondo i Criteri di Roma, si distinguono diverse forme di IBS:
Le manifestazioni fisiche dell’IBS possono essere scatenate o aggravate da un disagio emotivo prolungato, come uno stato di ansia o stress, che iperattiva il sistema nervoso autonomo, scatenando sintomi gastrointestinali.
Le cause precise dell’IBS non sono ancora del tutto note, ma i fattori principali che predispongono a questa condizione includono:
Negli ultimi anni, si è discusso molto sul ruolo del microbiota intestinale nell’IBS, identificando forme di disbiosi associabili ai tre sottotipi della sindrome.
Approfondisci l’argomento nell’articolo su disbiosi e alimentazione.
La sindrome da iperproliferazione batterica nel piccolo intestino (SIBO) consiste in una crescita abnorme ed eccessiva di batteri nell’intestino tenue, con una conta batterica superiore a 10⁵ CFU/ml.
Normalmente, la maggior parte dei batteri si trova nell’intestino crasso. Infatti, i batteri ambientali (provenienti non solo dal cibo) e orali attraversano il canale digestivo e giungono al colon dopo aver incontrato diversi ostacoli che ne impediscono un’eccessiva proliferazione. Questi ostacoli includono:
In presenza di problemi gastrici, epatici o pancreatici, i batteri possono proliferare più facilmente nell’intestino tenue. Inoltre, alcuni batteri possono risalire dal colon, nonostante la peristalsi e la valvola ileocecale siano progettate per permettere un flusso unidirezionale verso il colon.
La SIBO è associata a una vasta gamma di sintomi, tra cui:
Le forme di SIBO possono variare da asintomatiche (con alvo alterno) a forme severe con malassorbimento e carenze vitaminiche. La diagnosi viene generalmente eseguita tramite il breath test al glucosio e lattulosio, che rileva la presenza di idrogeno e/o metano nel respiro, prodotti dai batteri nell’intestino tenue in seguito alla fermentazione.
I principali fattori di rischio per la SIBO includono:
La SIBO si riscontra nel 50% dei pazienti utilizzatori di PPI, nell’80% di quelli che li assumono da almeno 5 anni e nel 25% dei pazienti con IBS. In questi ultimi casi, SIBO e IBS si sovrappongono nella manifestazione dei sintomi.
Nei pazienti con SIBO, il microbiota si caratterizza per una ridotta biodiversità, con una maggiore presenza di Proteobacteria a livello duodenale e un aumento di batteri di derivazione orale, come Prevotella, Lactobacillus, Streptococcus, Rothia e Veillonella. Anche batteri derivati dal cibo, che una bassa acidità gastrica (spesso dovuta all’uso di PPI) non ha abbattuto a sufficienza, possono proliferare.
L’intolleranza al lattosio può avere una causa genetica, conosciuta come non persistenza dell’enzima lattasi (beta galattosidasi) o carenza ereditaria della lattasi, oppure una causa non genetica, legata a un deterioramento della mucosa intestinale a seguito di un processo infiammatorio o infettivo (ad esempio salmonellosi, parassitosi, morbo di Crohn).
Si stima che il 75% della popolazione mondiale soffra di malassorbimento del lattosio, con una prevalenza crescente dal Nord al Sud dell’Europa e del mondo. In condizioni normali, il lattosio viene catabolizzato nell’intestino tenue dall’enzima lattasi; altrimenti, prosegue fino al colon, dove viene metabolizzato dai batteri come una fibra, producendo idrogeno. La diagnosi viene comunemente effettuata tramite il breath test al lattosio.
Nei pazienti intolleranti al lattosio, il microbiota si caratterizza per un aumento del phylum Actinobacteriae (normalmente presente in una percentuale dello 0,5-1% nei soggetti in eubiosi), in particolare dei Bifidobatteri, che sono in grado di metabolizzare il lattosio.
L’intolleranza ai FODMAPs è legata alla carenza di enzimi intestinali capaci di degradare specifici zuccheri presenti in frutta, verdura, ortaggi e alcuni cereali. I FODMAPs, non essendo assorbiti correttamente in alcuni soggetti, possono provocare sintomi come dolori addominali, meteorismo, flatulenza e diarrea.
I principali FODMAPs includono:
Questi zuccheri arrivano integri al colon e rimangono a lungo, creando un’iperosmolarità che richiama acqua a livello intestinale. I batteri intestinali li fermentano producendo gas (anidride carbonica e idrogeno), e li degradano generando frammenti zuccherini, che richiamano ulteriormente acqua, causando diarrea.
Questi due fattori concorrono nel definire il concetto di dose soglia, ovvero la quantità di FODMAPs che un individuo può tollerare senza sviluppare sintomi. Tale equilibrio spiega perché alcuni soggetti manifestano gonfiore, dolore e diarrea, mentre altri no, pur ingerendo le stesse quantità di zuccheri.
Una terza variabile importante è rappresentata dall’abbondanza di batteri fermentatori di questi zuccheri, appartenenti al phylum dei Firmicutes, nel microbiota del soggetto. Più sono presenti questi batteri, maggiore sarà la produzione di gas e, di conseguenza, il rischio di addominalgia.
L’analisi del microbiota è fondamentale per comprendere quali individui beneficeranno maggiormente di una dieta a basso contenuto di FODMAPs. In alcuni casi, l’intolleranza ai FODMAPs può esasperare i sintomi di addominalgia IBS-like.
L’istamina è una sostanza appartenente al gruppo delle amine biogene, regolarmente prodotta dal nostro organismo in risposta a un attacco esterno. Viene sintetizzata a partire dall’amminoacido istidina, attraverso l’azione dell’enzima istidina decarbossilasi. La sintesi dell’istamina avviene principalmente nei mastociti e nei granulociti basofili (cellule del sistema immunitario coinvolte nelle risposte infiammatorie e allergiche), ma anche nelle piastrine e nel sistema nervoso. Una volta prodotta, viene immagazzinata in vescicole e rilasciata in risposta a stimoli, scatenando reazioni di tipo allergico.
L’istamina è un mediatore chimico che partecipa a numerose funzioni nell’organismo, tra cui:
Inoltre, l’istamina ha un ruolo fondamentale come:
Quando il corpo accumula eccessiva istamina, possono comparire numerosi segni e sintomi, tra cui:
In un organismo sano, l’istamina assunta con l’alimentazione viene metabolizzata e degradata dall’enzima diaminoossidasi (DAO), presente soprattutto nell’intestino e in quantità minore a livello di fegato e reni. Tuttavia, quando la DAO non funziona correttamente, si crea uno squilibrio tra accumulo e degradazione dell’istamina, condizione nota come intolleranza all’istamina. I sintomi clinici di questa condizione compaiono generalmente entro 45 minuti dall’assunzione di alimenti contenenti istamina o istamino-liberatori e scompaiono entro 8-12 ore. La diagnosi viene effettuata tramite il DAO test su prelievo ematico.
L’alimentazione non è l’unica causa dell’aumento di istamina. Spesso, la causa principale risiede nel microbiota intestinale. Una sovracrescita batterica nel tenue (SIBO) di batteri Gram-negativi, dotati dell’enzima istidina decarbossilasi (HDC), come Escherichia, Shigella, Hafnia, Enterobacter, Morganella, Klebsiella, Proteus e Raoultella, può causare un eccessivo rilascio di istamina. Ciò può manifestarsi con sintomi come cefalea, rinorrea, rash cutanei, dolori addominali e gonfiore post-prandiale. In questi casi, è utile anche effettuare il dosaggio dell’istamina fecale per una valutazione più accurata.
Il gonfiore addominale è un sintomo multifattoriale che può derivare da diverse cause, incluse intolleranze alimentari, disbiosi intestinale, e sindromi gastrointestinali come IBS e SIBO (leggi di più sulla nutrizione in stati patologici).
Gestire questi sintomi richiede una diagnosi accurata e un approccio personalizzato, che può includere la modifica della dieta e la gestione del microbiota.
Se soffri di gonfiore persistente, è importante consultare un professionista per indagare le cause sottostanti e sviluppare un piano di trattamento efficace.
Per qualsiasi dubbio o richiesta di informazioni in merito all’argomento di questo articolo, oppure per un piano alimentare personalizzato e specifico per ogni esigenza e caso, ti invito a contattarmi attraverso i miei recapiti che trovi su questo sito oppure inviando un semplice messaggio attraverso il modulo di contatto. Ricevo a Pescara e Montesilvano, con clienti che raggiungono il mio studio dalle province di Pescara, Chieti, Teramo e L’Aquila e non solo.
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